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Un "sigarillo" con Tusiani
di G. D'Andrea

Fumare, a Manhattan, un "sigarillo" col prof. J. Tusiani! Il massimo, per chi, come me, da poco lo conosceva e lo ammirava.
Era già stato nel nostro Liceo per un conferenza, ma preceduto da scarsa informazione sull'uomo, sullo scrittore, sul pensatore, sul poeta. Pertanto, il mio "essere gettato" in una situazione senza alcuna "pre_cognizione" (Heidegger è d'obbligo!), me lo fece ascoltare come uno dei tanti conferenzieri che ogni tanto ci propinano a scuola per alleviare la nostra sete di cultura.
Simpatico, certamente, e facile da seguire nelle sua esposizione sorridente, ironica e piena di "amarcord", ma nulla di più per allora. Un "quid", però, aveva solleticato la mia curiosità ("vizio" che, dannatamente, mi trascino da non so quando!): la sua semplicità o, forse, la sua ironia che trasudava continuamente una conoscenza profonda dell'uomo e del mondo?
Non ho mai cercato di rispondere. Certo è che, tornato a casa, mi rifugiai nella quiete di Internet e scoprii il poeta, lo scrittore, il docente, l'uomo.
Al di là della sua biografia ufficiale - che pur evidenzia la tenace conquista della vita in ogni sua fase: dalla fanciullezza vissuta a San Marco lontano dal padre, al suo essere studente "modello" nel Liceo di San Severo e al suo insegnamento nella varie Università degli USA - incominciai a leggere alcuni suoi scritti e mi soffermai soprattutto sul suo mondo poetico, mondo da lui amato in modo particolare; non c'è, infatti, soltanto la sua produzione poetica in dialetto, in italiano, in inglese e in latino, ma pure le numerosi traduzioni in inglese di poeti classici e moderni (Fortunato il nostro studente che a New York ha ricevuto la sua traduzione in inglese di Leopardi!).
In verità, non è facile "scoprire" Tusiani nelle sue poesie e, in generale, nei suoi scritti: la "fregatura" che si rischia di prendere è di farsi fuorviare dalla apparente "ovvietà" delle sue riflessioni che ti scivolano dentro come qualcosa di scontato; ma se ti capita di fermarti su qualcuna di esse, scopri che quella "ovvietà" è, in realtà, il frutto di un costante scavare in se stesso e nelle sue emozioni, cui un solido background culturale fornisce la possibilità di esprimere in modo "semplice" quel groviglio di sentimenti e di pensieri che pur sono in noi ma ai quali, da soli, non riusciamo a dar voce.

A New York, nel suo appartamento di Manhattan, l'ho incontrato di nuovo: e lì, nell'umiltà dei suoi atteggiamenti, nel suo proiettarsi verso l'altro senza riserve e senza enigmi, senza artifizi linguistici o pose letterarie, l'ho sentito a portata di mano, anzi di anima.
E l'ho guardato muoversi con gesti carichi di affetto per quei nostri giovani che lo conoscevano per la prima volta e guardavano stupiti e ammirati, lui, l'affermato e colto scrittore, che offriva la torta di formaggio e ne vantava il sapore esclusivo e inimitabile, che elogiava i progressi della tecnica cui doveva la possibilità di gustare un caffè "espresso" all'italiana (stava scardinando il preconcetto dell'intellettuale ammuffito sui libri e con la testa fra le nuvole!), che sottolineava sempre gli aspetti positivi della vita anche nel suo essere forzatamente "single".
"E' stata l'esperienza più bella di New York", mi ha confessato uno studente.
Nel congedo è stato d'obbligo l'omaggio di qualche suo libro: "A Gaetano, carissimo amico", è scritto sul mio!

Marzo 2002
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